martedì 23 febbraio 2016

Per le piazze del Nord-Est sommerso

 nord-est
 global project Fabio Mengali, Marco Baravalle
23 / 2 / 2016
Italiani popolo remissivo. L’equazione sembra descrivere perfettamente lo stato in cui versa il Bel Paese da parecchi, troppi anni. Tre governi, nessuno dei quali eletto in via diretta dai cittadini, sono bastati per infliggere il colpo finale al sistema pubblico universitario e scolastico, trasformare il “diritto del lavoro” in “storia del diritto del lavoro” con l’approvazione del Jobs Act, continuare a depredare i territori con le grandi opere inutili.
Nessun movimento, nessuna resistenza sono riusciti ad invertire questa linea di tendenza fatta di austerità e abbassamento del costo del lavoro – per quanto dei tentativi degni si siano verificati e l’Italia continui ad essere cosparsa di micro-conflitti.
Forse è per questo che Renzi può indirizzare così bene le prime pagine dei quotidiani a lui più vicini parlando di crescita, mostrando dati (falsi o spiegati incompiutamente) sull’abbassamento del tasso di disoccupazione, facendo la voce grossa in Europa. Il Paese è in ripresa – dice – i giovani trovano più facilmente un lavoro, accumulano per la pensione, non ci sono problemi di ordine sociale perché nessuno li agita. Al massimo hanno provato a balbettare qualcosa i sindacati che sono stati subito rimessi al loro posto. Qualche problemino in Parlamento con gli equilibri di seggi: anche quelli risolti spesso con qualche contraccambio di leggi e riforme.
Bene, sappiamo benissimo che questa immagine dell’Italia è mistificata. La sua distorsione non rende giustizia ai comitati, ai collettivi di precari, ai migranti, ai sindacati di base che si battono quotidianamente facendo un lavoro molecolare di resistenza e di alternativa. Certo è che si fatica a ad estendere queste lotte, a farle emergere dal mondo sommerso su cui viene posta una patina opaca di indifferenza per relegarlo nel silenzio. Cosa piuttosto facile nella palude dei movimenti sociali italici. Eppure, a Nord-Est e in particolare in Veneto non possiamo certo dire che i percorsi politici di lotta siano rimasti muti o scollegati fra loro, anzi: una miriade di piazze ha mappato un’altra cartografia dei nostri territori.
La prima piazza è più periferica e tocca le zone industriali. Da più di un mese una delle prime importanti battaglie contro gli effetti nefasti del Jobs Act si sta incarnando nei corpi delle lavoratrici della Nek di Monselice e dei facchini del magazzino Prix di Grisignano. Se per i contratti delle cooperative la truffa della posizione di “socio-lavoratore” aveva già lungamente anticipato il ricatto su licenziamento nelle mani del padrone prima delle tutele crescenti, le grandi aziende come il Prix non hanno aspettato troppo per avvalersi dei generosi incentivi messi a disposizione da Renzi. Cambio di appalto, licenziamento e reintegro con condizioni salariali e di tutela che non tengono conto dell’anzianità dell’occupazione; il reintegro, inoltre, figura come neo assunzione, da cui 516.000 euro di sgravi fiscali per i prossimi tre anni nel complesso per il Prix. Una tentazione a cui non si può cedere. E perché non prendere quest’occasione anche per eliminare un sindacato scomodo, come l’Adl Cobas? Ecco spiegata la forza dei lavoratori e delle lavoratrici che da gennaio occupano gli stabilimenti, scioperano e bloccano i cancelli dei magazzini, resistendo all’usurpazione della polizia. Una vera e propria lotta per il reddito diretto ed i diritti che mette in contraddizione anche quel sistema -Veneto a guida leghista che sul lavoro ha fondato un’etica e un bacino di consenso politico. Ma, del resto, Zaia può nascondere la sua sottomissione agli interessi dei big investors delle aziende che portano lavoro dietro il suo razzismo istituzionale che bolla come insignificanti qualsiasi rivendicazione con degli immigrati protagonisti.
E qui si potrebbe aprire alla moltitudine di seconde piazze. Se è vero che gli immigrati sono gli attori principali di queste lotte per il reddito, è anche vero che non condividono lo stesso status giuridico e materiale dei migranti appena arrivati, in cerca di accoglienza e/o asilo. Una presenza, quella di questi profughi da guerre e miseria, che si è imposta con tutta la sua fisicità dentro agli hub locali, per le strade delle città quando lasciati soli a loro stessi, davanti alle Prefetture e alle Commissioni per richiedere il rilascio dei permessi di soggiorno o dell’asilo. Sebbene la migrazione investa tutta l’Italia e l’Europa, nel Nord-Est si concentra un groviglio di particolarità amministrative, politiche e sociali che rendono la situazione complicata: non diciamo di certo una novità se ci riferiamo alle sparate sui profughi delle Giunte di destra, prime tra tutte quelle di Bitonci e di Brugnaro; per non parlare dei cortocircuiti istituzionali tra Comune e Prefettura inconcludenti per una degna accoglienza, ma efficaci nell'aggravare la condizione dei migranti. Ecco, i migranti affianco della società civile non hanno mai smesso di promuovere un’accoglienza diffusa, non basata sui grandi concentramenti che avviliscono le persone escludendole dal tessuto cittadino. Vere coalizioni sociali tra gruppi organizzati e associazioni lavorano quotidianamente per affermare i diritti di cittadinanza negati, come quello all’apprendimento dell’italiano e alla casa, e per richiedere prese di responsabilità e soluzioni ai governi locali. Un’attività niente affatto sotterranea che non guarda soltanto al proprio orticello, ma sa bene che il problema dell’accoglienza è il secondo momento dei problemi delle migrazioni: il primo sta proprio nei blocchi e nei controlli alle frontiere, sempre più in pericolo a causa dell’applicazione restrittiva di Schengen. La specificità del Nord-Est come terra di confine già fa intravedere i pericoli di chiusura sul Brennero e a Gorizia. Praticare accoglienza dal basso, rivendicare diritti per i migranti significa quindi opporsi a qualsiasi confine.
Guerre e miseria, dunque, alla base degli enormi movimenti di esseri umani che vogliono raggiungere l'Europa in questi mesi. Moltissimi tra loro sono profughi climatici, costretti a lasciare le proprie case a causa dell'innalzamento della temperatura media del pianeta, della siccità, della scarsità di cibo e dei conflitti che ne conseguono. In effetti il climate change è tutto meno che un fenomeno naturale, si tratta invece dell'accelerazione di processi iniziati con la Rivoluzione Industriale in Occidente, ora inaspriti dalla globalizzazione del modello energetico basato sui combustibili fossili. Allora se volessimo essere conseguenti agli accordi della Cop 21 di Parigi (svoltasi in assenza di protesta, silenziata dallo stato d'emergenza) che fissano nel limite dei 2 gradi l'innalzamento della temperatura media della Terra, dovremmo immediatamente dare ragione a quei comitati che dalle Marche al Molise stanno contestando il progetto di trivellazioni nell'Adriatico. Altro che scavare per cercare nuovi idrocarburi, per il bene di tutti dovremmo lasciarli dove stanno. La vitalità e l'importanza delle lotte ambientali è inoltre confermata dalla campagna per i referendum sociali. Nata nell'alveo della rete Stop Devastazione e Saccheggio, mira ad ottenere una serie di consultazioni che mettano assieme priorità diverse, ma complementari: il divieto di trivellazioni, nuove politiche in sostegno della scuola pubblica, la cancellazione del Job's Act e la riaffermazione dell'acqua quale bene comune.
Ma anche il Nord-Est è ricco di reti, di comitati, di movimenti che si battono per la giustizia climatica e per una rivoluzione nel modello di sviluppo dei nostri territori. Una rivoluzione che vuole farla finita con le grandi opere, dannose per l'ambiente, imposte sulla testa delle comunità (spesso grazie ad apposite leggi, tipo la Sblocca Italia o la Legge Obiettivo che modificano le normali procedure di verifica) e progettate a misura di corruttela e per trasformare potenziali beni comuni in occasioni di profitto privato.
Esiste una vivace geografia di movimento che unisce la laguna al Trentino Alto Adige. Comitati che si battono contro il Mose, contro le Grandi Navi, contro la cementificazione del territorio, contro il TAV, per la qualità dell'aria che respiriamo e così via.
Una rete che è attesa da una scadenza importante. Il prossimo 8 marzo, proprio a Venezia, si riunirà la Conferenza Intergovernativa Italia-Francia. Inutile dire che uno degli immancabili piatti forti sarà la discussione intorno alla realizzazione della tratta ad alta velocità Torino-Lione. La Val Susa ha confermato che sarà presente per esprimere, ancora una volta, il proprio dissenso verso l'opera. Noi, a Nord Est, dobbiamo fare in modo di allargare questa scadenza, soprattutto da un punto di vista qualitativo, dobbiamo trasformare questa giornata in una iniziativa contro tutte le grande opere, per un modello di sviluppo giusto e libero dal parassitismo della corruzione. Tutto ciò va sostenuto con forza davanti ai rappresentati del nostro governo riunito a Venezia, va dispiegata la mappa dei comitati perché emerga la vera diffusione di queste istanze e la bontà delle nostre ragioni, perché saremo forti se sapremo unire quello che vorrebbero rimanesse diviso.
L’8 marzo è il culmine di una settimana di mobilitazione. L’inizio sarà infatti sancito dal primo marzo, storica data per i diritti dei migranti in cui le reti cittadine solidali e per l’accoglienza convergeranno a Padova per fare un presidio sotto la Prefettura: nella città patavina risiede la Commissione per l’approvazione delle richieste d’asilo, una delle peggiori in tutta Italia in termini di dinieghi, la cui giurisdizione riguarda gran parte dell’area del Nord-Est. Nei prossimi giorni, inoltre, scopriremo se nella mattina dello stesso giorno sarà lanciato uno sciopero del comparto agroalimentare nel caso in cui la trattiva inerente il Prix di Grisignano dovesse ulteriormente peggiorare. Passeremo poi, come deciso dall’assemblea di ieri sera al Centro Sociale Pedro di Padova, al 5 marzo, giornata in cui convergeranno tutti i conflitti sul lavoro e per il reddito da ogni angolo della regione per ribadire l’unica vera espulsione che interessa ai lavoratori: quella delle aziende che sfruttano e fanno profitti sulle vite delle persone.
Insomma, una bella settimana in cui tutti i rivoli, dai più grandi ai più piccoli, potranno coagularsi nelle loro differenze in una mappa che delinea i tratti di un territorio comune della democrazia, della libertà dal lavoro, della solidarietà. E speriamo che sia un primo momento per contraddire nei fatti chi continua a definirci un popolo remissivo.
(Immagine di copertina tratta dalla pagina facebook di Padania Classics

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